Ieri riflettevo sulla sensazione di vuoto che ho provato dopo aver pubblicato nel blog l’ultimo racconto, decisamente il più articolato e corposo che abbia scritto finora. Una sensazione di vuoto tangibile, impossibile da scambiare per qualcos’altro, ben definita. La sensazione l’avevo già provata in altre occasioni, ma non così forte, e molto probabilmente è direttamente proporzionale alle dimensioni di ciò che ho prodotto. Poi, sempre ieri, durante le varie cose che ho fatto, mi sono accorto che il senso di vuoto veniva meno, un poco alla volta, lentamente, ma calava. Grazie a cosa? Grazie ai pensieri che mi attraversavano la testa, grazie alle idee che mi venivano, grazie ai piccoli spunti che in qualche modo mi portavano al pensiero “Carino questo, e se ci scrivessi qualcosa a proposito?”. Analizzando anche gli episodi passati, mi sono reso conto che il mio approccio alla creatività, sia questa un racconto, un programma, una qualsiasi opera di ingegno, è un ciclo continuo di svuotamento/riempimento interiore, e la cosa mi affascina e spaventa un poco allo stesso tempo. Mi affascina perché sento di poter usare la creatività come medicina contro i momenti di down, e mi spaventa perché temo che, come tutte le vene, anche quella creativa possa estinguersi. Per ora mi godo questa ciclicità; per il futuro, boh.
Alla prox
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