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Un lavoro come un altro

Lui fa un lavoro come tanti, come il mio, come il tuo, niente di speciale: obiettivi da raggiungere, raggiungerli nei tempi e nei modi prefissati. E’ meticoloso, nel suo lavoro, e a detta dei colleghi è veramente bravo; pianifica, incrocia dati, non si fa mai trovare impreparato di fronte ad un imprevisto. E il capo lo sa: gli assegna i lavori più delicati, un pò perché è certo del risultato, un pò perché sotto sotto ci gode, nel vederlo dipanare problemi. Il suo capo, già. E’ un pessimo personaggio, lunatico, antipatico, imprevedibile, uno stronzo, a detta di molti. E lui lo sa, ma non se ne da peso, e pensa al suo attuale obiettivo, e a come liberarsene in fretta: gli altri lo ignorano, nessuno lo immagina, ma a lui, il suo lavoro, proprio non piace. Lo svolge al meglio perché deve farlo, non certo perché ne sia soddisfatto; a lui piacerebbe un lavoro più tranquillo, in uno dei reparti amministrativi, ma purtroppo non è stato possibile scegliere. Ora deve portare a termine l’ultima commessa: una occhiata al terminale per l’ennesimo controllo, e l’ennesima conferma che tutte le variabili sono state verificate, e il rischio di errore è bassissimo. Nonostante, come si è detto, desideri fare altro, non può non negare a se stesso la soddisfazione nel vedere che, ancora una volta, la previsione statistica di fallimento è inferiore al punto percentuale. E’ maledettamente bravo, punto e basta. Chiude il terminale, e si appresta a andare a raccogliere il frutto della sua pianificazione. Il vestito è nero, stirato alla perfezione, e gli occhiali scuri lo riparano dal sole, in quel giorno di metà primavera. Si materializza non visto in un vicolo vicino al centro, e con passo leggero si avvicina ad una colonna del portico, in via Indipendenza. Getta uno sguardo in giro, in attesa di veder apparire i propri obiettivi. Eccoli, avvicinarsi ignari, uno a piedi, l’altro in scooter; infila una mano all’interno della giacca, e tira fuori il suo taccuino di pelle nera, il nome della ditta in caratteri dorati, “Morte Spa”, e la sua penna, un bagliore solare metallico nel tardo pomeriggio, pronto a segnare un paio di righe. Qualche secondo di attesa, e un altro successo.

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