Sfortuna. Iella. Iattura. Sfiga.
Ma anche disavventura, infortunio, sorte avversa.
Oppure sacrificio, perdita, scapito, danno.
Aggiungendo al danno la beffa, quindi non basta essere sfortunati, bisogna anche definire bene il proprio tipo di sfortuna. La mia personale definizione di sfortuna è “cosa negativa che accade, prevista oppure no”. In trentacinque anni di vita ne ho provate diverse, di sfortune. Come buona parte della gente, del resto. Mi ricordo un periodo, alle superiori, che definii piuttosto sfigato perché nel giro di tre giorni feci quattro incidenti con lo scooter, fortunatamente non gravi per me, un po’ di più per il mezzo. Sempre alle superiori ho provato un altro tipo di sfortuna, non riflessiva questa volta, nel senso che non mi sentivo sfigato, ma gli altri mi additavano come tale: vuoi la passione per il computer, vuoi l’abbigliamento un po’ troppo casuale, i “guarda quello, che sfigato” si sprecavano. Poi, crescendo, ho come l’impressione che il mio metro di giudizio della sfortuna sia variato, spostandosi più verso la sfiga, che è si una dis-fortuna, ma di livello più basso, come “Uff, ma cavolo, non me ne va mai dritta una! Vabbè…”, una cosa poco più alta di un fastidio, ecco. Le sfortune di livello più alto, invece, crescendo sono diventate dolori, drammi, danni; e con queste non c’è “Vabbè” che tenga, queste arrivano, fanno il loro lavoro, e se ne vanno lasciandoti dei segni grossi così. Trattandosi abbastanza spesso di perdite di cose e/o persone, diventa interessante l’etimologia della parola iattura, cioè l’azione che si compiva – compie? – sulle barche all’arrivo di una tempesta, il liberarsi del carico per evitare il naufragio: in entrambi i casi ci sono delle perdite, in entrambi casi c’è il dispiacere per queste, ma sulla barca c’è l’obiettivo di salvarsi, mentre nella vita reale no, si perde e basta. L’educazione alla sfortuna parte da quando siamo piccoli, con i fumetti e i cartoni animati, e i personaggi non baciati dalla dea bendata ci vengono mostrati come simpatici: penso ad esempio a Paperino o al Wile E. Coyote; forse è un modo per indorarci la pillola, più o meno voluto, fatto sta che si impara che non tutto può andare come si desidera che vada, e che questo non deve farci sentire personaggi di serie B. Poi si cresce, e bene o male tutti si viene a conoscenza di Murphy, delle sue implacabili leggi e dell’altissima probabilità che le cose possano girare dal verso sbagliato, rendendo il discorso un poco più serio. E i proverbi e le canzoni e i film, una sorta di memento mori senza soluzione di continuità, un enorme “Guarda che ti avevo avvisato, eh”; ma nonostante tutti questi alert spesso ci si dimentica che la sfortuna ha 10/10 da entrambi gli occhi, e quando ci si sbatte contro si rimane stupiti, e a volte, purtroppo, si sanguina anche un po’. Che sfiga.
[Il presente è stato letto qui, e potete trovarlo anche qui in versione PDF/ePub/mobi, assieme ad altri bellissimi scritti e disegni]