Si sveglia all’improvviso a causa di una fitta lancinante al piede, in corrispondenza del taglio che si è procurato qualche giorno prima in spiaggia. Scosta le lenzuola diventate, causa il caldo, un tutt’uno con il corpo, e guarda la ferita. Non ha un bell’aspetto, è gonfia e arrossata, ancora non rimarginata, più profonda di quanto gli era sembrata. Forse è il caso di darci una ripulita; prende un paio di cotton fioc e il disinfettante e si mette all’opera: prima l’esterno, e la pelle attorno, poi con delicatezza la apre per rimuovere gli eventuali granelli sabbia e pezzi di conchiglie rimasti all’interno. Il disinfettante brucia sulla carne viva facendo il suo lavoro di pulizia, e lui si sforza di non fare movimenti bruschi. No, aspetta, però c’è qualcosa che non va. Aprendo un po’ di più i lembi della ferita si accorge che sotto, nella carne, c’è qualcosa di bianco e lucido; pensa ad altri pezzi di conchiglia, finiti più in profondità, ma no, non ci assomigliano. Poi, d’un tratto, quando è ancora lì ad osservarle, le cose bianco-lucide si muovono, e lui sente di nuovo la fitta lancinante che l’ha svegliato. La fitta è lunga, questa volta, legata indubbiamente al movimento, movimento che gli mostra cosa sono le cose bianco-lucide. Denti, piccoli ma affilati, due file da quattro che formano una bocca in miniatura, che mordono e scatenano le fitte sentite. Lui si solleva dal letto, urlando, spaventato, e sbilanciato dalla foga del gesto cade sul pavimento.
[Poi mi sono svegliato, stamattina. Era da un po’ che mi lamentavo del fatto che non ricordavo i sogni. Tiè, servito. Ma va bene così, mi accontento di un piccolo incubo. Ah, il taglio sotto il piede ce l’ho sul serio, però tranqui, niente denti. Anche se, in effetti, è un po’ arrossato…]