Seguiamo la ragazza della reception su per una scala a chiocciola, comoda, non sacrificata come le scale a chiocciola che si vedono in giro. Poi lei (è dell’Est, di sicuro, forse russa, carina. L’ho notato, ma in effetti non è pertinente) gira a destra, e di fronte a due porte messe ad angolo prende quella a destra. La apre, e dentro c’è il marrone. Mi colpisce, questa macchia indistinta che sembra permeare tutta la stanza; poi gli occhi si abituano alla poca luce, poi la ragazza la accende, la luce, e così dal marrone emergono il letto e le pareti, entrambi bianchi. E alla luce vedo che il marrone non è tutto uguale: scuro, scurissimo, quello del parquet, delle travi e della scala ripida che porta al soppalco, più chiaro quello dell’armadio e del resto dei mobili. Il soppalco spacca. Corre lungo la V rovesciata del tetto, è basso ma senza soffocare, e ospita un letto matrimoniale e due letti singoli, anch’essi coperti da un copriletto bianchissimo. La sensazione che mi trasmette la stanza è strana, un misto tra il calore delle case di legno in montagna e la mobilità della cabina di una barca. Curioso. Poi, di notte, la stanza scricchiola. Son lì, steso nel buio, con la 6enne che ha già il sonno pesante (e un ginocchio piantato nel mio fianco), in attesa che arrivi Morfeo a fare il suo lavoro, e ascolto i rumori. E’ un ascolto disincantato, non mi metto a fare viaggi mentali su topi o presenze varie ed eventuali, ascolto e basta, e dio come è bello.