[Note] Cimiteri – Storie di rimpianti e di follie, G. Marcenaro, p. 48


Il 10.8 del calendario gregoriano corrisponde al 10 agosto. Quel giorno si celebra il martirio di san Lorenzo. Nella notte piovono le Perseidi, le lacrime del cielo.
I napoletani indigenti, morti il 10 agosto di ogni anno dal 1762 al 1890, finirono sotto una lastra di pietra vulcanica contrassegnata con 10.8. La lastra si apriva su un vano di due metri per due, profondo dodici. All’altezza di dieci metri il pozzo aveva una grata, una specie di crivello, uno scolatoio di decomposizioni gocciolanti nel fiume sotterraneo che accoglieva sugo di cadavere. E questo per 366 tombe a pozzo, figurazione di un formidabile calendario funebre, in forma di crittografia astronomica, realizzato sulle pendici della collina di Poggioreale a Napoli. Con una previsione temporale perfetta – teneva conto anche degli anni bisestili.
Il Cimitero delle 366 fosse l’ho potuto vedere soltanto in alcune fotografie pubblicate in un compassato libro di storia architettonica che trasforma il fenomenale delirio mortuario in un raziocinio tecnico. Per gli storici deve essere l’esempio più alto dell’Illuminismo applicato allo smaltimento di cadaveri. Nella sua compostezza, il cortile con le 366 botole è frutto di una visionarietà senza pari. Fu pensato, formidabile macchina funebre, come liquidatorio di salme per salvaguardare la salubrità dei vivi. Il suo rigoroso incalzare temporale, la fantasiosa applicazione del numero, della smorfia e della quaterna secca, esalta ancor più la città per la quale fu realizzato, capitale della superstizione e delle fatalità.

Pianta del cimitero

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