Al tavolino di un bar, mi gusto un caffè doppio, amaro e in tazza grande, il mio preferito. Un sorso alla volta, fino a vedere i residui della macinatura sul fondo della tazza, senza fretta, riscaldato da un ottobre travestito da giugno. Una occhiata al liquido che man mano scende, una alla gente che cammina lungo la strada. Poi li vedo. Escono da un portone, e si incamminano lungo il marciapiede all’angolo opposto dell’incrocio. Lui indossa una t-shirt e un paio di jeans, lei un vestito nero, leggero. Parlano fitto fitto, guardandosi spesso, e da qui sembra che non facciano nemmeno caso alla strada. Nel frattempo il caffè è finito, dunque mi alzo e mi incammino verso l’incrocio. I due sono dall’altra parte, di fronte alle strisce pedonali, in attesa di attraversare; lui parte deciso, ma lei tentenna, allora le porge la mano per guidarla. Lei prende la mano con un gesto meccanico, istintivo, e si lascia portare verso il lato opposto della strada. Giunti sul marciapiede, finito il pericolo, lui le lascia la mano e la precede, continuando a camminare lentamente. Lei, invece, si ferma un attimo, come a riflettere, si guarda la mano, fino ad un attimo prima saldata a quella di lui, e un sorriso le illumina il volto. Poi accelera il passo e lo raggiunge. Io giro l’angolo, sorrido a mia volta, e li perdo di vista.