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“Quelle cose sono noi, quelle cose siamo noi”

Ora che ci penso, è stato proprio girando questi milleduecento metri quadri che vanno a riempirsi di ogni cosa che ho capito meglio perché posso stare minuti eterni a guardare un cartello arrugginito in un parcheggio, una vecchia porta di legno riverniciata di fresco, la silhouette dei tetti fuori dalla stazione di Rogoredo, e perché i ritratti delle persone mi piacciono ma non mi interessano – perché se guardi una persona vedi solo quella, se vedi una cosa vedi anche una persona.

(Come spesso accade, Sir Squonk mi da involontariamente il la, e io non posso fare altro che andarci dietro.)

Dunque, nella casa vecchia, avevo questo piatto piano – ne parlai qui – proveniente da un servizio passatomi da mia mamma.
Questo piatto si è crepato la prima sera che ho cenato in quella casa, appena appoggiato sul tavolo. Inspiegabilmente crepato, ché l’ho appoggiato come son solito appoggiare i piatti sulla tavola, senza troppi urti.

Fatto sta che lui ha deciso di creparsi, proprio quella sera.
E non l’ho buttato, ché in fin dei conti era solo una crepa, sembrava tenere botta.
Ed è durato fino a stasera, con la sua bella crepa, finché non l’ho preso e gli ho dato un colpo secco sul tavolo.

Perché, come dice lui, le cose ci rappresentano. E quello mi ha rappresentato per un sacco di tempo, ché anche io ero in qualche mondo “crepato”, mi sentivo così.

Oggi, leggendo il post, mi è venuto in mente. Non tanto come oggetto, ché ci ho mangiato dentro praticamente sempre, quello era il MIO piatto, ma piuttosto come significato. E considerato che non mi sento più rotto, crepato, ha smesso di rappresentarmi, è ritornato ad essere un piatto e basta.

E bon, l’ho rotto e buttato.

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