Categoria: life

  • La metafora di oggi

    Hai presente le stalattiti e le stalagmiti, nelle grotte? Le guide si raccomandano sempre di non toccare una stalagmite, perché il grasso presente sul polpastrello impedirebbe il deposito dei residui minerali che la goccia d’acqua che cade si porta dietro. La stalagmite, così, muore. Ecco, per un po’ mi son sentito stalagmite morta. Poi, non so grazie a quale reazione chimica, i residui hanno iniziato nuovamente a depositarsi. Piano piano, ma si fermano.

  • Passports control

    La reception è una isola di luce nel buio. Il camping si trova in alto rispetto al paese, ad un paio di chilometri, defilato, e l’illuminazione cittadina non disturba. I lampioni sono pochi, bassi, e creano aloni circoscritti; le finestre dei camper, chiuse per proteggere gli occupanti da sguardi indiscreti, non fanno filtrare quasi nulla. I tavolini di fronte al bar, essenziale, in linea con il resto del camping, sono pochi e tutti occupati. Una coppia di ragazzi olandesi consulta una carta della Liguria, due famiglie inglesi osservano i figli giocare al calciobalilla, un ragazzo scrive fitto fitto su un quaderno, sorseggiando una birra. C’è silenzio, c’è quiete. E c’è una strana sensazione in sottofondo: non fosse per i cartelli in italiano, questa reception potrebbe trovarsi in qualunque altra parte d’Europa.

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  • Nella direzione opposta

    Qua il sole si muove nel senso opposto, rispetto al mare. Bello, certo, molto suggestivo, però non so, non mi convince del tutto. Nel senso che mi sembra sia troppo facile, che mi venga via a poco. Sarà perché, dalle mie parti, il rapporto stretto tra sole e mare te lo devi in qualche modo guadagnare, sia esso, il modo, un dritto o una levataccia. Preferisco l’alba.

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  • Altrove

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    A volte per stare bene non è necessario reinventarsi o fare chissà che. Le cose possono essere le stesse, è sufficiente farle da un’altra parte.

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  • Pogo

    Il posto è essenziale, ridotto ai minimi termini, un rettangolo con i lati corti occupati rispettivamente da un piccolo palco e da una zona con i tavolini, mentre i due lati lunghi ospitano il bancone del bar e un minuscolo corrimano di legno, dimensionato per ospitare, come una cartucciera, il nastro di bicchieri di birra immolati durante l’happy hour. Un occhio attento riconosce immediatamente quella che sarà l’area più movimentata, ché i gruppetti in attesa la delineano piuttosto bene. L’occhio attento fa subito altre due cose: 0] identifica i buttafuori, 1] battezza i vari personaggi presenti. Ci sono i ragazzotti senza maglia e con il cappellino da baseball girato, c’è il gruppo di quelli più anziani, qualche simil-skinhead, il gruppetto dei fighetti. La musica è quella di riscaldamento, quella che mette in circolo l’alcool e comincia a far muovere le teste e i piedi. Passano i Korn, qualcosa dei Guns, poi con i Pantera c’è il cambiamento di disposizione sul campo: i gruppetti di cui sopra cominciano a riempire l’area in precedenza rimasta vuota, davanti al palco, mentre quelli meno interessati al sudore e alle spallate prendono il posto lasciato libero dai primi. Io sono di lato, a finire il bicchiere, con il piede che però è già partito, in attesa del pezzo che mi fa girare l’interruttore e ciao. Ed eccolo che arriva, chitarra e piatti, basso, tamburi e cowbell, poi tutto assieme, e infine, il click: “Killing in the name of”. E ciao. Nella bolgia, l’occhio attento ha le sue conferme: i ragazzini che fanno caciara e basta, i vecchi che ci vanno giù pesi ma con giudizio, quello troppo ubriaco che rischia di far male e basta. Le ragazze dopo mi chiederanno come ho fatto a far balotta così in fretta: è semplice, perché in quella che vista da fuori può sembrare una cosa senza controllo ci sono delle regole di comportamento che vanno rispettate, altrimenti ci si fa male. La prima, la più semplice, e la più utile per capire che tipo è quello con il quale stai sgomitando, è sostenere chi sta perdendo l’equilibrio, o aiutarlo a rialzarsi nel minor tempo possibile, per evitare calpestamenti. E dunque ci si riconosce immediatamente. In mezzo a quei corpi sudati perdo la cognizione del tempo, i pezzi si susseguono senza sosta in un vortice di schiene e braccia, ma sempre mantenendo il controllo (anche perché l’abbondante perdita di liquidi si porta via in fretta l’alcool). Qualche pezzo lento permette di riprendere fiato e chiacchierare, poi di nuovo via con il contatto fisico, ma con il divertimento come obiettivo primario. E alla fine di tutto ti ritrovi fradicio di sudore, con qualche ammaccatura ma felice, e con una quindicina d’anni in meno sulle spalle.

  • Sordità selettiva

    Non so, a volte mi viene questo desiderio di sordità selettiva: vorrei un filtro LP impiantato direttamente nelle orecchie, che tagli medi e acuti, soprattutto gli acuti, quelli che ti fanno venire la smorfia di fastidio in faccia. Vorrei tenere solo i bassi, sentire le cose con la pancia.

  • Il terrore

    Il terrore non è come lo mostrano nei film, il terrore lo vedi nella faccia delle persone vere, dal vivo. E’ un movimento che parte dal basso, dal mento, e poi si sposta verso l’alto, coinvolgendo via via la bocca poi le guance poi gli occhi. E se è davvero forte fa alzare anche le mani verso la faccia, come a proteggersi. Il terrore lo vedi nascere come un urlo muto sul viso di una bambina, con lo sguardo a mezza altezza tra le travi del soffitto e il tavolo, gli occhi che, sbarrati, seguono la discesa rapida del ragno verso la tovaglia, e man mano che questo si avvicina alla meta il volto della piccola diventa una maschera. Il suo corpo sembra pietrificato, poi una mano scatta verso il mio braccio e lo artiglia cercando protezione, mentre gli occhi cominciano a riempirsi di lacrime. Con un gesto veloce libero la tovaglia dall’ospite inatteso, e sento la presa al braccio allentarsi fino a rimanere solo un peso leggero sulla pelle. Allora lei si alza, con i singhiozzi che vanno scemando, fa il giro del tavolo e cerca il ragno sul pavimento, come a esorcizzare la paura. “Babbo, ma l’hai ucciso?” “No, non serviva ucciderlo, l’ho solo buttato giù.” “Va bene, basta che non torni più.”

  • Inversione del senso di marcia

    Sembra dunque che, per una volta, siano gli Amici a venire a trovare me, e non viceversa, come al solito. E in cuor mio spero che non sia una tantum, ché sentirsi cercati e raggiunti, lo dico, mi fa molto piacere.

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  • Supereroi

    In quest’ultimo periodo cerco di contrastare l’insonnia con i miei comfort movies, cioè quei film che per un motivo qualsiasi mi rilassano, che ho visto millemila volte e che quindi se fortunatamente mi riesco a riaddormentare durante la visione non c’è problema. Cadono in questa categoria: qualche horror, French Kiss, e i film di supereroi e robottoni. Ultimamente i più gettonati sono i vari episodi della serie X-Men: dentro ci trovo l’azione, gli effetti speciali e lo stupore, ogni volta, di poter vedere nel piccolo schermo i personaggi che da piccolo potevo solo sfogliare su carta. E questo mi piace un casino. Non mi riesce facile ricordare quale supereroe volessi essere, da piccolo: forse uno dei Fantastici 4, oppure Superman, o forse nessuno in particolare, mi piaceva l’idea e basta. Allora, l’altra notte riflettevo su questa cosa, su quale supereroe vorrei essere oggi, e non so, a guardarli con gli occhi di un adulto ci vedo vite complicate, infanzie difficili, drammi personali, dolori, cose così. Credo che la sintesi perfetta del supereroe, vista con i miei occhi, stia nel dialogo tra Rogue e Wolverine, dove lei gli chiede “Quando vengono fuori, ti fa male?” e lui risponde “Tutte le volte”. Troppo fatica, rinuncio ai superpoteri, mi sa.