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  • La selezione

    Ecco, l’ho vista.
    No, vabbè, forse è stato un riflesso, niente.
    Sì, certo, come no, riflesso di che cosa, ché in questa stradina buia di campagna non c’è anima viva a parte me.
    Allora è vero, l’ho vista, la lucetta verde c’era davvero, non mi sono sbagliato.
    Ricapitolando.
    Era lì, sul cruscotto, sul display dell’autoradio, poi si è spostata a sinistra, poco oltre il volante, ed ha cominciato a scendere, nello spazio davanti al contachilometri, poi sul volante, poi ce l’avevo sulla coscia destra, poi sul petto, poi non so, ché la strada era buia e stretta e non volevo infilarmi in un fosso.
    Ok, la storia è verosimile, combacia più o meno con quelle descritte dagli altri del gruppo, al bar.
    Mi hanno mirato, proprio a me, lo sfigato del gruppo.
    Ora ho qualcosa da raccontare anche io.
    Figo.

    Arrivano, li sento.
    O meglio, le cose che stanno succedendo le ho già sentite raccontare: l’auto che si spegne, un ronzio basso, i peli delle braccia che si rizzano come quando d’inverno metto il pigiama sintetico.
    Arrivano, anche per me.
    Figo.

    Mi ha ritrovato un contadino, in un campo verso Cotignola.
    La macchina invece era poco fuori Lugo, dove si era fermata.
    Sono ricomparso circa due giorni dopo, come gli altri ragazzi del bar.
    Non ricordo nulla, come gli altri ragazzi del bar.
    Nudo, come gli altri ragazzi del bar.
    Ma senza alcun segno.
    Luca, il primo, si è ritrovato dei segni sulla schiena, sopra la scapola destra, dicono tipo delle incisioni con un laser, e una cosa di metallo, attaccata alla scapola.
    Mario, il secondo, la stessa cosa, solo con meno segni.
    Marco e Matteo, i gemelli, li hanno presi assieme, stessi segni di Luca, ma qualcosa inserito nel femore.
    Io, niente.
    Nessun segno, nessuno coso attaccato da qualche parte.
    Niente.
    Mi schifano anche gli alieni.
    E adesso, con che coraggio ci torno, al bar?

    Quei matti di Barabba l’hanno fatto di nuovo, un’altra chiamata a raccolta pubblica, stavolta legata alla fantascienza. Non potevo mica tirarmi indietro, no? Se clicchi sulla scritta in rosso puoi scaricare l’opera completa con tutti gli altri contributi. E no, non è fantascienza, la scarichi davvero a gratis. Buona lettura.

  • Il palo sul molo

    Onda

    Se passi sul molo di Cesenatico, nella parte di levante,e oltrepassi il Gambero Rosso e la passerella di legno che porta sulla sabbia, trovi un palo di metallo, abbastanza grosso, ancorato ad un basamento di cemento in mezzo agli scogli. Sul palo c’è un buco di ruggine, tre/quattro centimetri di diametro, e quando c’è il vento forte, che ingrossa le onde, le gonfia fino a farle uscire sulla banchina [occhio che poi ti bagni, eh, true story], quando c’è quel vento lì, dicevo, beh, passando vicino al buco si sente il rumore del mare. [facepalm].

  • La percezione del tempo

    TicTacTicTacTicTacTicTac
    Tic Tac Tic Tac Tic Tac Tic Tac
    Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac.
    Tic
    Tac
    Tic
    Tac
    Tic
    Tac

    Tic

    Tac

    Tic

    Tac.

    Oltrepassata la porta scorrevole ho percepito chiaramente il dilatarsi del tempo. È tutto un duplicarsi e triplicarsi di secondi e minuti, ti trovi ad attraversare le ore come fossero di melassa, rallentato e con un fastidio appiccicoso addosso. Proprio non so come abbiamo fatto, l’altra volta.

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  • La veridicità degli adagi popolari

    C’era questo proverbio, o meglio, questa specie di filastrocca, legata allo sbadigliare, che mi raccontava mia nonna quando ero piccolo. Recitava più o meno così (scritto a spanello):

    E sbadac’ e n’a ingän,
    o cl’è said o sànn o fam
    o cs’è fort inamurè
    o ujè quelcosa ed mel pinsè

    Tradotto:

    Lo sbadiglio non inganna
    o è sete o sonno o fame
    o si è molto innamorati
    o c’è qualche brutto pensiero

    Ieri mattina abbiamo accompagnato l’oramai-ottenne alle visite preliminari per l’intervento di rimozione delle adenoidi e, giuro, non ho mai visto così tanti sbadigli al minuto. Poi fortunatamente il nervoso le è passato.

  • Agitato, o mescolato, è indifferente

    “Settembre”

    * Due parti di stare a letto, con la coperta, mentre fuori piove
    * Tre parti di spiaggia vuota
    * Una parte di in giardino, la sera, con la felpa
    * Una parte di pasta in brodo
    * Due parti di birra che non si scalda subito
    * Una parte di tepore del sole nelle ore più calde
    * Zero parti di caos turistico

    Da servire fresco, agitato o mescolato, è indifferente. Da gustare lentamente, fino all’arrivo dell’inverno.

  • È come piangere sotto anestesia

    È come piangere sotto anestesia: non senti niente, ti trovi tutte le guance bagnate e non sai perché, non capisci dove ti fa male, in realtà non sembra nemmeno che faccia male eppure deve essere così, altrimenti non piangeresti.

    L’ha scritto Ipazia, lo trovi qui

  • L’angolino della bestemmia

    L’altro giorno scrivevo che, a parte le belle persone, del socialino mi manca parecchio l’angolino per bestemmiare in santa pace. Ha un qualcosa di liberatorio, la bestemmia, che in una eventuale gara doppierebbe qualsiasi altra parolaccia. Anche la più semplice, eh, senza dover ricorrere alla deliziosa creatività degli amici toscani. Oggi mi serviva proprio, quell’angolino, e dopo aver risolto a-voce mi son detto “Perché non sfruttare il blog?”. E dunque è possibile molto probabile che in futuro appaiano dei post il cui titolo inizierà con [PD], il cui contenuto sarà ben condito di turpiloquio e blasfemia. Per non turbare gli animi più sensibili, i post saranno protetti da password, come recitava il parental advisory di alcuni CD, “Stateve accuorti, maleparole!”. Ah, la password, cosa lo dico a fare, è “porcodio“.

  • [Note] Così in terra, Davide Enia, p.169

    È sorprendente l’insistenza con cui le donne domandano agli uomini cosa stiano pensando. La risposta, il più delle volte, è semplice, come elementare è il maschio: a nulla. A volte, si sta soltanto osservando una macchia su un muro. A volte, è l’ascolto di un formidabile assolo di chitarra elettrica ad assorbire tutta l’attenzione. Non c’è nessun esercizio di logica. Ancor più stupefacente è come il maschio si senta in obbligo di fornire una risposta arguta e profonda che ne alimenti il fascino misterioso.

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  • [Note] Così in terra, Davide Enia, p.158

    Il mare era liscio. In quell’acqua di velluto, mi sentivo protetto.
    «Guarda, il movimento non parte dal braccio, ma dal centro del corpo, così, vedi? Devi concentrati sul bacino, Nina… Perché ridi? Ho detto una sciocchezza?»
    «È la prima volta che mi chiami Nina.»
    E partì. E io la vidi, mentre nuotava sbagliando tutti i movimenti, esattamente per quello che era.
    Perfetta.

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