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  • When the music’s over

    A Cesenatico, in viale Roma, una volta c’era un bar, Bar Zara si chiamava.
    Era uno di quei bar che difficilmente verrebbero definiti “belli”, uno di quei bar che, se ci passavi davanti e avevi voglia di un caffè, probabilmente avresti deciso che sì, potevi attendere quello successivo.
    Io ci andavo il sabato mattina, facevo colazione leggendo il giornale, scambiavo due parole con i vecchi facenti parte dell’arredamento, poi tiravo fuori la stecca dalla custodia e giocavo un paio d’ore a cinque birilli, da solo oppure con qualcuno che ne avesse voglia.
    Poi, un bel giorno, il bar ha chiuso.
    Ero sinceramente dispiaciuto, ché, per quanto brutto e vecchio, quella era tipo la mia tana, un luogo dove riuscivo a stare in pace un paio d’ore e dribblare le rotture di cazzo.
    Poi però ha chiuso.
    Durante le ultime partite si discuteva di possibili alternative, “Dai vieni con noi, c’è sto posto con i tavoli buoni” “E se provassimo nell’altro, quello a Gatteo Mare?”, e via così. Ci ho provato, ad andare con gli altri, nei posti nuovi, addirittura un paio di volte, poi però non ce l’ho fatta.
    Non ce l’ho fatta perché, a dispetto delle medesime persone, del medesimo contesto, sentivo che qualcosa si era rotto, che era finita la magia, che non era la stessa cosa.
    Domani succede una cosa simile, una tana chiude, a Friendfeed gli staccano il respiratore (come metafora è forse un po’ cruda, ma ecco, non è che godesse poi di tanta salute, ultimamente).
    E, idem come sopra, è tutto un rincorrersi e dai, ci troviamo qui, ci amichiamo la, ma come funziona quella cosa?
    Non riesco, sento che la magia s’è rotta di nuovo, fine.
    Dunque, un grazie alle belle persone che ho incrociato, persone che si sono trasformate da avatar in numeri di telefono e indirizzi, e un grazie anche ai cretini, ché imparare a rapportarsi con loro è importante tanto quanto farlo con le belle persone.
    C’mon, si volta pagina e si va avanti.

  • Uno di quei lavori che dici Mamma che figata

    Stamattina ero al bar a fare colazione, non al solito bar, ché era ancora chiuso, ma in quell’altro, quello un po’ di destra ma fa niente, il caffè è buono e la signora è simpatica. In questo bar non prendono Repubblica, forse lo considerano di sinistra, e allora quando vado lì ripiego su La Stampa. E stamattina, verso la fine del caffè, arrivo alle pagine delle rubriche, e trovo questo servizio su Federico Romerio, che di mestiere fa l’accordatore di pianoforte. L’articolo mi cattura così tanto che quasi la signora mi porta via il caffè non ancora finito, pensa te. A me è piaciuto, se sei curioso lo trovi online qui.

  • Rompere il ghiaccio

    Dicono che son bravo a conoscere nuove persone, che mi riesce abbastanza facile (ed effettivamente è vero). Ma ho un problema con i posti. Se devo andare in un posto nuovo, se ci devo andare con un obiettivo ben preciso, e se ci devo andare da solo, insomma, mi viene un po’ di strizza. Anche (o forse, soprattutto) se tengo moltissimo alla cosa. Un esempio assolutamente casuale (…): sembra che ci sia questo bar, questo circolo ricreativo, a Bellaria, dietro al cimitero, che mi hanno detto abbia i biliardi per l’italiana. E niente, ci dovrei fare un salto adesso, appena cliccato su Publish, però mi è venuta la strizza di cui sopra. Citando un’amica, non mi starà mica venendo il pesaculismo?