È la terza notte di fila che ti sogno.
Ci sono state situazioni interessanti, momenti surreali, abbiamo sgridato, avuto paura, limonato.
Pensavo, se ti sogno anche stanotte me la dai? Secondo me ci può stare, eh.
È la terza notte di fila che ti sogno.
Ci sono state situazioni interessanti, momenti surreali, abbiamo sgridato, avuto paura, limonato.
Pensavo, se ti sogno anche stanotte me la dai? Secondo me ci può stare, eh.
Percepisco che un po’ di cose hanno ricominciato a girare per il verso giusto.
Quindi, insomma, diciamo che va bene.
Continuo a fare cose impulsivamente, senza pensarci troppo, e sento quel pizzicorino nello stomaco, il mio personale “chissà come andrà”. Ma non posso fare diversamente, incrocio le dita e va bene così.
Ho idee buone per almeno tre tatuaggi.
Ma c’è un fondo di insofferenza che rompe le uova nel paniere.
Mi sono rotto il cazzo di sistemare borse e scatole piene di roba vecchia.
Butterei via tutto e ricomprerei quello che in realtà mi sarebbe servito.
Mi sono rotto il cazzo di chi dice che a fine agosto l’estate è finita.
L’estate finisce quando lo decidi tu, non è una questione di date o di clima.
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Fa caldo.
Mi sudano i pensieri, un porcone per ogni goccia che scende.
Mi sudano i pensieri, e si mischiano l’uno all’altro alla base del collo impregnando la t-shirt.
Allora non ci penso, tanto non posso più distinguerli.
Metto su un po’ di musica, una serie di canzoni che hanno poco a che fare l’una con l’altra, ma che riescono tutte a tenermi la testa sgombra.
Fa caldo, sudo, un porcone per ogni goccia che scende, ma ora sono solo gocce.
scrolla la sabbia dalle pagine dei libri
Setteperuno, su Twitter
Il posto è essenziale, ridotto ai minimi termini, un rettangolo con i lati corti occupati rispettivamente da un piccolo palco e da una zona con i tavolini, mentre i due lati lunghi ospitano il bancone del bar e un minuscolo corrimano di legno, dimensionato per ospitare, come una cartucciera, il nastro di bicchieri di birra immolati durante l’happy hour. Un occhio attento riconosce immediatamente quella che sarà l’area più movimentata, ché i gruppetti in attesa la delineano piuttosto bene. L’occhio attento fa subito altre due cose: 0] identifica i buttafuori, 1] battezza i vari personaggi presenti. Ci sono i ragazzotti senza maglia e con il cappellino da baseball girato, c’è il gruppo di quelli più anziani, qualche simil-skinhead, il gruppetto dei fighetti. La musica è quella di riscaldamento, quella che mette in circolo l’alcool e comincia a far muovere le teste e i piedi. Passano i Korn, qualcosa dei Guns, poi con i Pantera c’è il cambiamento di disposizione sul campo: i gruppetti di cui sopra cominciano a riempire l’area in precedenza rimasta vuota, davanti al palco, mentre quelli meno interessati al sudore e alle spallate prendono il posto lasciato libero dai primi. Io sono di lato, a finire il bicchiere, con il piede che però è già partito, in attesa del pezzo che mi fa girare l’interruttore e ciao. Ed eccolo che arriva, chitarra e piatti, basso, tamburi e cowbell, poi tutto assieme, e infine, il click: “Killing in the name of”. E ciao. Nella bolgia, l’occhio attento ha le sue conferme: i ragazzini che fanno caciara e basta, i vecchi che ci vanno giù pesi ma con giudizio, quello troppo ubriaco che rischia di far male e basta. Le ragazze dopo mi chiederanno come ho fatto a far balotta così in fretta: è semplice, perché in quella che vista da fuori può sembrare una cosa senza controllo ci sono delle regole di comportamento che vanno rispettate, altrimenti ci si fa male. La prima, la più semplice, e la più utile per capire che tipo è quello con il quale stai sgomitando, è sostenere chi sta perdendo l’equilibrio, o aiutarlo a rialzarsi nel minor tempo possibile, per evitare calpestamenti. E dunque ci si riconosce immediatamente. In mezzo a quei corpi sudati perdo la cognizione del tempo, i pezzi si susseguono senza sosta in un vortice di schiene e braccia, ma sempre mantenendo il controllo (anche perché l’abbondante perdita di liquidi si porta via in fretta l’alcool). Qualche pezzo lento permette di riprendere fiato e chiacchierare, poi di nuovo via con il contatto fisico, ma con il divertimento come obiettivo primario. E alla fine di tutto ti ritrovi fradicio di sudore, con qualche ammaccatura ma felice, e con una quindicina d’anni in meno sulle spalle.
L’estate (ma anche la tarda primavera) è quel periodo dell’anno in cui i post si bloccano tra testa e tastiera. Ho così tanta roba, ormai avariata, nelle bozze che se si legge il blog abbastanza vicini al monitor si sente odore di marcio.