È un periodo che mi sento così tanto con le chiappe strette che prima, ero lì che giocavo al solito giochino sullo smartphone, e ad un certo punto mi appare la scritta “Perfect!” in mezzo allo schermo. Allora ho detto “Senti, va bene il Perfect!, ma perché? Come lo giustifichi?”.
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Sull’assistenza tecnica, una cosa forse banale, o forse no
Dunque, è da un po’ di tempo che una parte del mio lavoro è occupata dal fornire assistenza tecnica ai clienti che usano una determinata tipologia di prodotti. All’inizio, introducendomi questo tipo di attività, mi misero in guardia sulla particolare osticità di questo tipo di clienti, pari forse a quella degli albergatori (non se ne abbiano a male gli amici albergatori, ma l’accoppiata albergatori-tecnologia non ha quasi mai dato buoni risultati). Ora che mi sono fatto una certa esperienza sul campo, ora che ho una buona base di dati sui quali lavorare, mi sento di condividere una riflessione. Un buon 90% delle persone con le quali ho avuto a che fare è diventata immediatamente ragionevole una volta resasi conto che dall’altra parte della cornetta c’era qualcuno disposto a prendersi carico dei loro problemi. E sottolineo il prendersi carico, non il risolvere effettivamente il problema, ché a volte la telefonata non è stata sufficiente a. Probabilmente ci ho messo del mio, ché sono bravo ad ascoltare e a rispondere di conseguenza, ma credo che il peso maggiore ce lo abbia il come porsi, non chi si pone. Ecco, non so quanto sia ovvia o banale questa considerazione, ma tanto è, mi sembrava giusto condividerla. Ciao.
Il numero perfetto
Lo senti già alle 17, quando la giornata ti ha avuto, non c’è bisogno di arrivare in fondo.
Il tragitto verso casa è più lungo del solito, camion apecar furgoncino, più di uno e in ordine sparso, coi nervi cominciano a scricchiolare vistosamente.
Incrocio il mio sguardo nello specchietto retrovisore, occhi torvi e scavati, e mi dico che sì, oggi mi hanno avuto.
A casa mi accolgono i piatti nel lavabo, i panni da stendere, gli altri da stirare.
Bentornato.
Il primo è per sganciare il volano che ho in testa, rovente per l’attrito senza soluzione di continuità.
Salgo. Mi spoglio.
La cornetta della doccia penzola a testa in giù, una vite da stringere mi auguro.
Scendo, prendo un pezzo di nastro americano, e la cornetta è a posto.
La doccia fa il suo lavoro, e ne esco ripulito dentro e fuori.
Ceno, o forse no.
In uno slancio di vigore mi libero dei piatti sporchi, dandomi ad alta voce del coglione per non averli lavati subito, sapendo comunque come andrà a finire. Intanto però il lavabo ringrazia.
Mi siedo al tavolo, temporeggiando con lo smartphone in attesa che la moka venga su.
E-mail, Facebook, i film in prima serata, Instagram.
Caffè.
Il secondo è per me, perché me lo sono meritato, diobò.
Alla TV non c’è nulla di interessante, così pesco dall’archivio e metto su un film. Cabal, stasera.
Bevo molta acqua, per fare il bravo.
Il film finisce, dovrei andare di sopra ma ancora non ho abbastanza sonno. La scelta ricade sul canale 56, Focus.
Il terzo è per quel cucchiaio che ogni tanto si mette a scavare dietro l’occhio destro, e cerco di prenderlo in tempo, prima che diventi un mestolo.
Nel frattempo ho imparato cose interessanti sulla storia dell’acciaio e sull’impatto che ha avuto sulla società, ho scoperto che gli UFO, se esistessero, sarebbero un mistero.
Il terzo è quello della buonanotte, senza tante storie.
Mi trascino di sopra, tiro su il lenzuolo, buio, in sottofondo una webradio di jazz.Corollando Murphy
Tema.
Se qualcosa può andare male, lo farà.Svolgimento.
Se qualcosa può andar male, lo farà, ma lo farà in modo subdolo. Andrà male, ma non così tanto da rassegnarsi e dire «Bon, amen, è andata male», bensì lo farà in modo da lasciare spazio ad una possibile soluzione. Soluzione il cui impatto sulla cosa sarà di gran lunga peggiore del «Bon, amen, è andata male».In estrema sintesi
O anche cose di banalità. Il pensiero è: lavorare meno per lavorare (meglio) tutti. Dai che è quasi Natale, fatemelo, questo regalo.